1. Cosa si intende per Metodo classico?
È una tecnica (“metodo”) di spumantizzazione che prevede prima l’ottenimento di un vino di base, di norma “secco” e non molto alcolico (10,5-11% vol) e successivamente la preparazione della “miscela di spumantizzazione” costituita da vino di base, zucchero (saccarosio) e lievito, a cui spesso si aggiungono sostanze nutritive per il lievito e chiarificanti. Il vino di base, trasferito in bottiglia, in questo modo rifermenta diventando spumante. Dopo un’opportuna sosta sul deposito (da 15 a 36 e più mesi) lo stesso viene portato a ridosso del tappo e quindi si procede alla “sboccatura”, all’eventuale dosaggio ed alla tappatura finale, oltre che al confezionamento.Di “metodo classico” sono sinonimi: “rifermentazione in bottiglia”, “metodo tradizionale” e “metodo champenois” (quest’ultimo non più ammesso in etichetta dall’agosto 1994).
2. Quali sono le caratteristiche del Trentodoc e cosa lo differenzia rispetto agli altri spumanti metodo classico come ad esempio il Franciacorta?
Il Trentodoc (marchio che contraddistingue la stragrande maggioranza dei produttori di spumante classico a Denominazione d’Origine Controllata “Trento”) è uno spumante particolare: nasce infatti in una zona vitata come il Trentino, ad altissima vocazione spumantistica (almeno nelle quote altimetriche più elevate: 400-700 m s.l.m.). L’ambiente di provenienza ha molte analogie, sia dal punto di vista dei terreni, sia da quello del clima, con la regione dello Champagne, ed anche i vitigni (Chardonnay, Pinot Nero e, marginalmente, Pinot Meunier) sono sostanzialmente gli stessi della zona dove si produce il più famoso spumante del mondo. Le altre aree spumantistiche d’Italia hanno caratteristiche pedoclimatiche differenti, composizione varietale diversa, quindi nei loro prodotti non sempre riusciamo a trovare quella struttura acidica, quella fragranza di aromi (varietali e fermentativi) che contraddistinguono il Trentodoc e le sue bollicine di montagna.
3. Quali sono i vitigni previsti dal disciplinare D.O.C. “Trento”?
Sono gli stessi della Champagne, e cioè: Chardonnay, Pinot Nero, Pinot Meunier cui si aggiunge anche il Pinot Bianco (o Weissburgunder per i tedeschi).
Una nota sulle percentuali: mentre in Champagne i tre vitigni sono coltivati in percentuali molto simili (all’incirca 1/3, 1/3, 1/3), in Trentino risulta nettamente prevalente lo Chardonnay (anche il 70-80 % dell’uvaggio o comunque del taglio).
4. Quali sono le zone di produzione del Trentodoc e come influiscono sul vino?
Le zone di produzione comprendono l’intero territorio del Trentino viticolo, ovviamente dove sono coltivate le varietà previste dal disciplinare. Il “sapere” degli enologi tuttavia, porta ad individuare come atte a produrre Trentodoc quelle aree situate in giacitura collinare o addirittura pedemontana, inserite in una fascia altimetrica compresa tra i 400-700 m s.l.m.: solo qui le uve maturano lentamente e progressivamente e solo qui assistiamo a forti escursioni termiche tra il giorno e la notte (anche 18-20°C di differenza) nel periodo compreso tra l’invaiatura, cioè quando l’uva comincia a cambiare colore, e la vendemmia. Questo consente di conservare prima nell’uva, poi nel mosto e nel vino, ed infine nello spumante quella giusta quanto equilibrata struttura acidica, base fondamentale per garantire ottima qualità allo spumante.
5. Quale fase o attenzione della coltivazione o della produzione è garanzia di buona qualità del Trentodoc?
Nella filiera del Trentodoc, come del resto di qualsiasi altro spumante ottenuto con il metodo della rifermentazione in bottiglia, non c’è una “fase critica”, poiché tutte (dall’impianto del vigneto alla commercializzazione della bottiglia) sono tappe estremamente delicate dell’intero processo produttivo. Preparare uno spumante di alta o altissima qualità (come appunto deve presentarsi il Trentodoc) non ammette né errori, né distrazioni: tutto è strettamente collegato, come se fosse una lunga catena di anelli, dove è sufficiente che se ne spezzi uno per rovinare l’intero insieme. Tutto ciò premesso, l’aspetto fondamentale è rappresentato dalla materia prima, che va scelta, sia per ambiente di provenienza che per sanità, con la massima cura ed assoluta scrupolosità: trascurare questa fase porterebbe inevitabilmente a risultati deludenti del prodotto finale.
6. Come si può conservare e servire al meglio il Trentodoc?
La conservazione del Trentodoc non si discosta molto da quella di altri vini di pregio: ombra o penombra di fresche cantine, temperatura costante (12-14°C), posizione orizzontale, relativamente elevata (80% l’umidità relativa) sono le condizioni ottimali per una corretta conservazione del Trentodoc. Il servizio è quello classico: secchiello con acqua e ghiaccio, utilizzo della flûte, temperatura di degustazione compresa tra i 6 e gli 8 °C. Per quanto riguarda l’abbinamento, questo è lasciato alla fantasia, compreso il tutto pasto, soprattutto per i millesimati e le riserve.
7. Quali sono le differenze tra pas dosè, millesimato, brut e riserve?
Il disciplinare di produzione del Trentodoc prevede tre differenti prodotti classificati in base ai vitigni di provenienza, alle gradazioni alcoliche potenziali dei mosti ed alla durata di permanenza sui lieviti. Così abbiamo:
- con 15 mesi di permanenza sui lieviti (calcolati dal giorno del “tirage” a quello della “sboccatura”) il “Trentodoc bianco” ed il “Trentodoc rosato”;
- con 24 mesi di permanenza sui lieviti può essere indicata in etichetta l’annata della vendemmia (il “millesimo”);
- con 36 mesi di permanenza sui lieviti (e per il solo tipo “bianco”) è possibile fregiarsi della qualifica “riserva”, indicando comunque ed obbligatoriamente l’annata di produzione delle uve.
Altro discorso per le indicazioni “pas dosé”, “extra-brut”, “brut”, “demi-sec”, ecc. che riguardano per ognuna delle tipologie sopra descritte il residuo zuccherino presente nel prodotto finale.
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